Ore 8
Giunti in cantiere abbiamo trovato la porta della nostra rimessa per gli attrezzi scassinata, i materiali da lavoro in disordine, il terreno dello scavo scassinato in punti precisi, scelti forse con l’ausilio di un metal detector… Ecco sì, ho provato a scrivere questa pagina di diario di scavo come farei con un’unità stratigrafica, mostrando competenza nella descrizione, dominio di me e sangue freddo, ma mi sono arrestata dopo poche righe… il paesaggio attorno a noi e gli animi sono desolati. Il prof sembra tranquillo, anche Elisabetta, dicono che oramai i ladri vengono almeno una volta l’anno, lo dicono con tranquillità, come se fosse normale. No, non è normale, semplicemente perché alle cose normali siamo rassegnati, a questo no. Non sopporto lo spregio del nostro lavoro, non per me e per i miei compagni di avventura, ma per chi lo fa, perché ci impedisce di dare un tassello di passato a questo sito, e a tutti coloro che vorranno basarci il proprio futuro. Arrivano i carabinieri che raccolgono la denuncia, il prof chiede aiuto per aprire la porta della rimessa, per lasciarci tirar fuori gli attrezzi e cominciare il lavoro. In un nano secondo si forma davanti a noi un’immagine strana, il prof e il maresciallo cercano di aprire la porta della rimessa insieme forzando la serratura con una spranga di metallo. Ridiamo tutti, qualche battuta, i carabinieri se ne vanno, fuori gli attrezzi. L’aria è distesa ora, avanti col lavoro.
Ore 9,30
Io aiuto Nina a fare l’orientamento della stazione totale, mentre cammino per il campo con la palina vedo altri buchi a terra, fuori dal recinto, mi rabbuio… volevano proprio “trovare il tesoro” i nostri visitatori notturni, bleah! Finisco in fretta, e raggiungo Cioschi, Andrea e Mirko nel saggio 28, dobbiamo ripulire tutto dalle ultime tracce di humus. Siamo molto silenziosi e concentrati, Elisabetta dice che abbiamo perso verve… no Betta, solo che pala, piccone, trowel, scopetta, paletta… tutto aiuta a distrarsi dalla sorpresa nera della mattinata.
Ore 16
Ecco, la soddisfazione cresce di nuovo, finita la pulizia siamo in grado di osservare una chiazza vivace e dei mattoni arrossati, una situazione che assomiglia a quella trovata qualche anno fa al di là della provinciale: siamo di fronte ad una fornace di mattoni, una fornace delle tante del “vignalese-romano” che ben conosciamo, Marco Fulvio Antioco. Davanti ad essa un sistema di muri davvero intricato, (senza fare distinzioni, Andrea ha democraticamente chiamato il saggio “l’outlet dei muri”) -alcuni muri sono romani, alcuni più tardi-, ci suggerisce che la zona della fornace sia stata da sempre tenuta separata dalla parte abitativa della mansio. E pensare che da quella parte dello scavo aspettavamo di vedere l’Aurelia… eh, questo è il bello del mestiere, ti aspetti che la terra racconti la tua storia, invece racconta la sua, sempre e comunque, anche quando là fuori cercano di farla tacere.