Pomeriggio di lavoro, incontri, festa e, ovviamente, riflessioni ieri a Vignale,
Partiti in laborioso e intrepido gruppetto, abbiamo dovuto fare i conti con una imprevista difficoltà nel consueto taglio dell’erba primaverile. Piogge torrenziali e brevi ondate di calore hanno prodotto un effetto tropicale sullo sviluppo dell’erba intorno allo scavo. Risultato una marea verde-gialla che ha sommerso la baracca fin quasi al tetto e dentro la quale anche i due prodi dotati di decespugliatori (ovviamente presi a prestito dagli amici, come sempre accade in questo scavetto very low cost…) hanno finito per perdersi.
La questione tecnica si risolverà – dovremo chiedere aiuto a qualche amico dotato di strumenti adeguati – ma la cosa ha creato il contesto ideale per ri-cominciare a pensare al tempo, in questo caso alla ciclicità delle stagioni e al tentativo della natura di riprendersi questo frammento di paesaggio non appena noi umani abbassiamo la guardia. Storie di Maremma, verrebbe da dire, narrate già adesso dalle nostre “amiche” zanzare, sempre qui a ricordarci insieme all’erba che ai margini di uno stagno antico ci muoviamo.
Ci torna in mente un verso bellissimo di Alessandro Fo che traduce Rutilio Namaziano: “onda abbondante dell’acqua imprigionata”, dicono all’unisono il latino e il latinista parlando di uno stagno non troppo lontano da Vignale. Anzi, pensiamo oggi, decisamente vicino a Vignale.
Poi arriva Lino Tani, voce narrante di storie vignalesi e riotortane, senz’altro più giovane, ma non meno autorevole di Rutilio Namaziano e non meno affabulatorio di Alessandro Fo. Ci porta in dono se stesso (ed è sempre tanta roba, anche quando viene senza le sue buonissime marmellate), un altro decespugliatore e un libro che ha appena pubblicato. Inizia così: “Sono nato a Vignale Riotorto, frazione del comune di Piombino, il 7 maggio 1927…”.
Ci viene in mente che gli ultimi cento anni o giù di lì della lunga storia che stiamo cercando di ricostruire li abbiamo davanti ai nostri occhi e alle nostre orecchie. Dobbiamo solamente essere attenti a cogliere l’occasione di inserire le sue memorie e i suoi racconti nella trama e nell’ordito dei nostri indizi materiali, per esempio studiando a fondo le tante fotografie che accompagnano la narrazione e che offrono decine di idee per visualizzare le nostre storie.
Poi ci spostiamo nella Pinetina di Riotorto, dove i bambini tengono uno spettacolo di fine anno in cui si parla, come ormai è quasi una consuetudine familiare, anche del nostro lavoro.
Lì la visualizzazione delle nostre storie si fa cosa concreta: hanno prodotto un plastico molto colorato e molto ricco di dettagli del nostro scavo. O meglio del loro modo di “leggere” il nostro scavo, con i loro occhi e attraverso le immagini che siamo riusciti a suggerire loro a partire dai sassi, dai mattoni e dai pochi brandelli di pavimenti che secoli di arature hanno risparmiato per noi e per loro.
Valeva davvero la pena che noi costringessimo i nostri studenti più giovani a “impersonare” cavalli, cavalieri, osti e colonne durante le visite dei bimbi al cantiere. Quelle storie raccontate e figurate sono ritornate fuori in forma di comprensione di forme, di spazi e di funzioni.
Mi chiedono di dire qualcosa e faccio davvero fatica a gestire l’emozione, soprattutto quella di vedere di fronte a me i volti dei genitori e dei nonni che mi dicono, con grande schiettezza, che ci hanno accettato all’interno della loro comunità, che siamo – anche – noi gli “amici in più” di cui parla una delle canzoni dello spettacolo.
In un momento in cui si parla (e si straparla) molto di valore e valorizzazione dei beni culturali, ci viene in mente che questi ragazzini che chiudono ora – tra sorrisi di gioia e lacrime di commozione, come sempre accade – un ciclo della loro formazione, saranno sempre consapevoli di quanto bello e umanamente interessante possa essere occuparsi del proprio passato, guardano i buffi cocci che tirano fuori dalla terra i loro amici archeologi, ascoltando le storie degli anziani e, perché no, leggendo anche Rutilio Namaziano.
A settembre, in un modo o nell’altro saremo ancora lì. Ma nel frattempo c’è comunque l’erba da tagliare…