Se per il primissimo medioevo (VI-VII secolo d.C.) le poche conoscenze disponibili su Vignale si appoggiano per il momento solo sull’esistenza di un popolamento, concentrato o diffuso che fosse, testimoniato dal cimitero, per i secoli immediatamente successivi la situazione appare completamente ribaltata: nessuna concreta traccia archeologica, ma alcune importanti tracce nel sistema delle fonti scritte.
Dopo la cancellazione di tutte le istituzioni romane, il territorio della Val di Cornia entra in possesso dei vescovi longobardi di Lucca, i cui emissari si recano periodicamente nella zona per gestire le proprietà terriere della Chiesa e per amministrare la giustizia.
Alcuni dei documenti redatti in queste occasioni si sono conservati e ci consentono di conoscere, almeno a grandi linee, l’aspetto del nostro territorio tra VIII e XI secolo. Tutto ruota intorno alla parrocchia rurale di S. Vito in Cornino, di cui conosciamo però solo il nome e non l’ubicazione topografica, intorno alla quale sorge in seguito probabilmente una curtis, ovvero una grande proprietà fondiaria.
Dalle carte emerge anche un paesaggio composto da campi coltivati, case e famiglie che in quei campi e in quelle case vivevano e lavoravano: i medi proprietari che abitavano le case dominicae, i fattori che abitavano le case massaricie e i piccoli contadini che si dovevano accontentare delle cassine, quasi sempre semplici capanne di legno e paglia. Tutto intorno, stalle e cortili, prati per il pascolo, vigneti, oliveti, castagneti e, infine, la selva e l’incolto, spesso semipaludoso, in cui si esercitava – sotto lo stretto controllo dei vescovi e dei loro rappresentanti – la caccia ai maiali selvatici.
Questo stesso paesaggio continuerà a vivere anche a partire dal XII secolo, quando progressivamente si strutturerà il castello di Vignale, posto sulle colline immediatamente sovrastanti il sito antico. Solo con l’abbandono del castello, agli inizi del XV secolo, il paesaggio agricolo lascerà il posto a una selva incolta, paludosa e inospitale, che verrà di fatto abbandonata al suo destino dai nuovi proprietari, la nobile famiglia romana dei Boncompagni Ludovisi, che non sembra aver avuto alcun interesse per uno sfruttamento organizzato di questa parte dei loro immensi possedimenti sparsi in tutta Italia.